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scuola romana.

Il ponte degli angeli (1930), opera di Scipione

Scuola Romana

Di fronte alle situazioni già viste - l'una, quella torinese, spostata di nuovO verso moduli e tematiche postimpressioniste, l'altra, quella milanese, in via di maturare una pittura selvaggia e infantilista - la cultura romana alla fine degli anni Venti si colora, sempre in funzione antinovecentista, di una accesa connotazione espressionista. Una notevole impronta è lasciata anche dal fugace passaggio di De Pisis, già cosí veloce e abbreviato nella sua pratica pittorica, ma bene attento al museo e a una pittura seicentesca, della quale rimane piú di una traccia nell'insistere sui segni neri e nei contrasti fra i bruni: e il ricordo che si porta dietro a Parigi si traduce nella bellissima Natura morta con l'autoritratto del Greco, artista che tanto colpisce la nuova generazione. E siamo a Scipione e Mafai. Essi svolgono un percorso ideale che, partito dai turbamenti subiti di fronte alla visionarietà controriformistica del Greco, passa con disinvoltura per la strada del barocco maturo. Ma in realtà queste varie esperienze retrospettive li aiutano a rompere i residui equilibri e a sfociare in un esito decisamente espressionista. Il barocco, che è sempre stato un indizio di epoche di crisi, agisce ora contro Novecento. Il seicentismo, riportato alla ribalta anche dalla grande mostra fiorentina del 1922, aveva già toccato De Chirico, suo avversario accanito in tempi precedenti, ma ora pronto a usarlo disinvoltamente come un nuovo habitus, una nuova pelle esibizionista e chiassosa. Nel 1927 dall'incontro di Scipione, Raphael e Mafai, ai quali si aggiunge subito Mazzacurati, nasce la «scuola romana di via Cavour», come felicemente ebbe a definirla Roberto Longhi sull'«Italia Letteraria» del 1929: scatta un periodo di rivolta in cui si recuperano i valori selvaggi del colore e del segno. La scorrettezza prevale sulla misura, mentre le tonalità bruno-rossastre accendono di nuovo pathos le composizioni, in un clima teso di emozionalità fantastica che spiazza ogni precedente formalismo. A un periodo di implosione, qual è quello metafisico, succede dunque un'epoca esplosiva, in cui si liberano le cariche sensuali, non senza che si istituiscano significative tangenze con il mondo letterario contemporaneo: da Ungaretti a Campana, che proprio nel 1928 pubblica i Canti orfici. Scipione desume dall'incontro con Mafai un nuovo interesse per la realtà che viene caricata di nuovi significati, in una pittura sempre piú infuocata, quasi a illuminazione endogena, dove si accendono improvvisi baluginii di rossi. La figura si deforma in un continuo contrasto dialettico fra la torbida, affascinante Roma controriformista, popolata di cardinali e angeli ribelli e una Roma plebea di baldracche e di pigre sirene. E il tutto si realizza in rutilanti scenografie borrominiane che sembrano anticipare le invenzioni della Roma felliniana.

FONTE: ANNITRENTA


Villa Strohl-Fern

Gli studi per artisti, concessi a canoni molto bassi, esistono già allinizio degli anni Ottanta; gli affittuari sono in prevalenza tedeschi, dato che a Roma non esiste una Künstlerhaus sul tipo di Villa Medici o dell'Accademia di Spagna. Dal 1886 al 1908 il governo tedesco compie vari tentativi di acquisire la villa a questo scopo, orientandosi infine verso l'area della Nomentana dove sorgerà l'Accademia di Villa Massimo. Negli ultimi vent'anni dell'Ottocento la villa ha un ruolo particolare nella vita artistica della capitale, orientata in senso mondano orno a via Margutta, piazza di Spagna, piazza del Popolo e Villa Medici. Gli stranieri che toccano Roma durante il loro viaggio di formazione, ma anche alcuni italiani, come Luigi Serra, vi trovano piuttosto una fonte d'ispirazione, che realizza il contatto fra la bellezza naturale e il fascino della tradizione artistica. Per Rainer Maria Rilke, che occu- pa a lungo uno studio nel 1904, la villa rappresenta una sorta di rifugio atemporale, con un che di esotico e misterioso rafforzato dal contrasto con il vicino caos cittadino. Già negli anni delle Se- cessioni (1913-'15) buona parte degli artisti romani che vi partecipano ha studio a Villa Strohl-Fern: Oppo, Pasquarosa, Bertoletti, Moggioli, Trombadori, Brazda, Deiva De Angelis, Guidi, Socrate, Terzi, D'Antino, A. Biagini, Drei, Selva, Spadini e Carena, pur non avendovi studio, ne sono assidui frequentatori. Intorno alla fine della prima guerra mondiale la villa diventa un punto di riferimento per i giovani artisti, stimolati dalla possibilità di una vita comunitaria e dalla frequentazione reciproca degli studi: una nuova circolazione di idee si viene formando, mentre si esprime l'esigenza del ritorno all'ordine, che troverà espressione sulle pagine di Valori Plastici. In quegli anni la villa non attira solo gli artisti, ma anche i critici e letterati che si raccolgono nella "terza saletta" del Caffè Aragno: le visite di Roberto Longhi sono frequentissime, Bruno Barilli vi ha uno studio, e Cardarelli la ricorderà con commozione. Negli anni Trenta Vila Strohl-Fern non ha invece contatti particolarmente produttivi con le nuove tendenze, dalla Scuola di via Cavour al tonalismo. Gli artisti della villa continuano comunque, fino alla seconda guerra mondiale, a costituire un nucleo compatto e qualitativamente alto, esponendo regolarmente alle mostre del tempo. Dopo la guerra Carlo Levi contribuisce, con il suo cenacolo intellettuale, a fare ancora una volta della villa un punto d'incontro culturale.

FONTE: ROMA ANNI VENTI


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